WeWill – We Women in long life – Bolzano 2022

JourneytoHealth: think tank sulla salute della Donna e medicina di Genere
30 settembre – 2 ottobre – Teatro Cristallo – Piazza Matteotti

Tre giorni di conferenze in presenza, talks aperti al pubblico e alle associazioni pazienti con esperte/i della comunità scientifica e della stampa, dirette streaming che coinvolgano e garantiscano partecipazione e informazione utili su i social media e a tutte le Regioni dove IrisRoma xleDonne xlaVita ha Ambasciatrici che operano sul territorio (quid pluris
per identificare e mettere in relazione i bisogni più stringenti su i territori circa la salute della donna), testimonianze, storytelling – Cittadella della Salute.

Eventi:

  • Conferenza stampa nazionale e territoriale;
  • Incontro sulla medicina di genere, la salute della donna e le pari
  • opportunità nella salute-benefici sociali ed economici;
  • La comunità scientifica incontra il pubblico;
  • Conferenza con esperti della salute e giornalisti;
  • Talk show di confronto tra approcci, metodi e ricerca;
  • Incontri con le Istituzioni politiche e territoriali;
  • Cittadella della Salute della Donna e best practises, terapie integrate,
  • benessere con percorsi esperienziali per la qualità della vita,
  • educational;
  • Presentazioni di libri, story telling e testimonianze;
  • Concerto e altre iniziative (perfomance);

Premessa

In un’epoca di spending review come la nostra, la prospettiva teorica, metodologica e clinica della medicina di genere assume un valore quanto mai importante. Così come la comunicazione della stessa. La focalizzazione non riguarda solo
l’appropriatezza delle cure, il fatto cioè che a ogni individuo vengano dispensati i farmaci più adatti ed efficaci, ma anche il risparmio che ne deriverebbe: diagnosi, terapie, interventi mirati e specifici si sintetizzano in un risparmio di tempo e di risorse.

La medicina di genere parte dall’assunto – anche questo piuttosto banale – che uomini e donne sono diversi davanti alla malattia. Una differenza che i libri di medicina contemplano quasi esclusivamente per quel che riguarda l’apparato sessuale e della riproduzione. La pratica medica – teorizzata, gestita, condivisa per millenni da uomini con uomini – è rimasta cieca davanti alle differenze che pure ogni medico incontra nella propria esperienza professionale. Il pensiero scientifico femminile non ha mai raggiunto un volume significativo tale da far nascere una visione di genere della scienza stessa. Fino agli anni Sessanta e Settanta del Novecento quando, sulla scia dei movimenti che nel mondo
Occidentale hanno portato le donne a imporre la loro presenza sulla scena della politica, del lavoro, della società, sempre più ricercatrici hanno fatto il loro ingresso nella comunità degli scienziati.

Negli anni ’80 grazie agli sforzi di alcune volonterose , soprattutto negli USA, cominciò un’azione inclusiva delle donne negli studi clinici, per cercare di colmare questa lacuna nelle conoscenze medico-scientifiche. L’idea era quella di andare oltre la salute femminile, di considerare altre patologie oltre a quelle che affliggono il sistema riproduttivo, e analizzare insieme a tutti i fattori biologici che rendono diversi uomini e donne anche l’influenza di fattori sociali, socio-culturali e politici sulla salute delle donne. Primum movens inserire le donne negli studi clinici, per decenni condotti solo su uomini. Includere le donne nei trial è difficile per almeno due ordini di motivi: l’organismo femminile va incontro a ciclici cambiamenti dell’assetto ormonale e dunque non è facile avere un campione omogeneo di pazienti femminili; nelle volontarie così come nei ricercatori c’è il timore delle conseguenze che le sostanze in sperimentazione possono avere sulla fertilità e sulla salute dei nascituri.

Trial clinici e terapie

Gli effetti di questa esclusione dai trial clinici pesano: alcune terapie hanno una minore efficacia nel sesso femminile; le donne hanno una maggiore frequenza (da 1,5 a 1,7 volte) di reazioni avverse, quegli “effetti collaterali”, spesso spiacevoli e a volte anche gravi, che avvengono nell’organismo ogni qual volta si assume un medicinale. Proprio la
gestione degli eventi avversi è una voce di spesa che il sistema sanitario potrebbe ridurre notevolmente se solo i farmaci fossero stati testati anche sulle donne. È evidente che l’opzione di condurre nuovamente i trial clinici includendo anche le donne non è perseguibile sia dal punto di vista scientifico sia, soprattutto, da quello economico. Dal punto di vista farmaceutico la soluzione individuata è quella della sorveglianza farmacologica post-marketing: i dati sugli effetti collaterali causati dai medicinali una volta immessi sul mercato che sia gli enti di controllo nazionali sia le case farmaceutiche raccolgono.

Questi dati devono essere raccolti e analizzati tenendo conto della variabile di genere così da individuare nuove strategie di somministrazione per vecchi farmaci o, come è successo in alcuni casi, arrivare addirittura al ritiro di specialità con effetti collaterali troppo pericolosi per le pazienti. È evidente, tuttavia, che in futuro gli studi sui farmaci dovranno essere eseguiti tenendo conto delle evidenze scientifiche accumulate in ormai quasi 20 anni di medicina di genere. Dal 1997, la Food and Drug Administration, l’agenzia statunitense di controllo sui farmaci, obbliga all’inclusione di una quota di donne nel campione da studiare. In Europa non ci sono regole così stringenti, ma le agenzie nazionali si stanno adoperando per promuovere la sperimentazione anche sulle donne come buona pratica. Non è un caso che l’OMS abbia inserito la medicina di genere nell’equity act, a conferma che l’equità passa per cure appropriate e consone al genere.

C’è poi il fronte della raccolta dei dati epidemiologici e clinici. In cardiologia – disciplina che per prima è stata indagata
con uno sguardo alle differenze -, in fisiologia, in oncologia, in immunologia, solo per citare alcuni campi, le evidenze
scientifiche della diversità fra uomo e donna nell’esordio, sviluppo e risposta alle malattie sono sempre più stringenti. Grazie al lavoro di molte ricercatrici e ricercatori nel mondo, anche in Italia, la medicina sta cercando una via per ncludere le differenze nella propria pratica.

Proprio il modo in cui siamo state educate a pensare le malattie – per esempio dal fatto che tradizionalmente alcune atologie siano considerate più maschili o femminili o dal fatto che alcuni disturbi siano oggetto di campagne di sensibilizzazione mentre altri no – fa sì che si sottovalutino dei rischi. È il caso del tumore al colon retto: dopo quella della mammella, è la forma di cancro che colpisce di più le donne che però non lo temono quanto altri carcinomi, e quindi non seguono adeguatamente i programmi di screening. Un altro capitolo è quello che riguarda il tumore al polmone, una patologia in forte crescita nella popolazione femminile a causa della crescente abitudine al fumo da parte delle donne. L’aumento dei casi ha fatto sì che emergessero con forza le differenze fra uomini e donne di fronte
anche a questa malattia.

Se è vero che la medicina di genere nasce dall’evidenza dell’esclusione delle donne dalla ricerca e dalla pratica clinica, inforcare gli occhiali di genere fa bene a tutti, anche agli uomini. Ci sono, infatti, patologie considerate femminili che affliggono anche gli uomini o che hanno nell’organismo maschile in modo diverso di manifestarsi – basti pensare al
tumore della mammella o all’osteoporosi: lo studio delle differenze porterà anche in questo caso a cure migliori, più efficaci e appropriate. A tutto vantaggio della spesa sanitaria…

Sex and gender: differenze nella clinica e nella farmacologia; aspetti della salute pubblica e della prevenzione; ricerca
biomedica; medicina e educazione

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