Oggi in Italia le persone con più di 65 anni sono oltre 14 milioni, pari al 24% della popolazione, il dato più alto di tutta l’Unione europea.
Diventeranno il 35% entro il 2050: tra meno di 30 anni 1 cittadino su 3 sarà anziano.
Specialmente nelle fasi più avanzate della vita, le implicazioni sociosanitarie diventano enormi: difficoltà motorie, compromissione delle normali attività quotidiane, malattie croniche e neurodegenerative, solitudine.
Dei 14 milioni di over-65, 5 milioni e mezzo sono affetti da almeno tre malattie croniche e 4 milioni hanno disabilità gravi; durante l’emergenza Covid hanno rivelato la crisi, ed in alcuni casi l’assenza dell’assistenza sanitaria territoriale del nostro sistema socio-sanitario.
La multimorbilità e la fragilità sono la vera sfida per il Paese, ed impongono una nuova visione strategica delle politiche sociosanitarie.
Il Covid è stato, in particolare, un naturale stress-test del nostro sistema sanitario, che ha mostrato le fragilità sul territorio e una certa resilienza all’interno dell’ospedale.
Occorre dunque, da un lato la riorganizzazione e il potenziamento dell’offerta dei servizi territoriali, a partire dal fenomeno della politerapia ( il 14% degli anziani assume 10 o più farmaci al giorno), dall’altro, la grande urgenza e priorità di investimento, per mettere il sistema socio-sanitario nelle condizioni di curare il maggior numero di anziani a casa. Ma l’assistenza domiciliare non è una cosa che si improvvisa, bisogna saperla fare, avere competenze articolate, capacità di valutazione dei bisogni e di intervento sul paziente. E richiede tecnologie, strumenti di valutazione del bisogno precisi e standardizzati.
In Europa, il tema delle cure di lunga durata per gli anziani ha acquisito una centralità senza precedenti durante la pandemia da Covid-19 e dopo di essa. Gli anziani, infatti, hanno pagato un tributo molto alto all’emergenza pandemica e il settore sociosanitario ha giocato un ruolo fondamentale nel limitare le ricadute dell’emergenza.
L’Italia, invece, presenta un clamoroso ritardo rispetto alla predisposizione di misure sociosanitarie e assistenziali rivolte agli anziani non autosufficienti.
Un ritardo che se non colmato in fretta, in considerazione dell’aumento del tasso di invecchiamento e del calo della natalità, potrebbe erodere ulteriormente la capacità di risposta del nostro sistema di welfare. Solo il 2,7% degli ultrasessantacinquenni residenti in Italia (in alcuni Paesi del Nord Europa sono assistiti in casa il 20% degli anziani), sono assistiti a domicilio.
Le prestazioni, le ore dedicate a ciascun assistito, la natura pubblica o privata degli operatori e il costo pro capite dei servizi sono i più differenti e variegati, a seconda delle aree del Paese.
In particolare, sono assistiti a domicilio nel nostro Paese solo 370mila over 65, a fronte di circa 3 milioni di persone che risultano affette da disabilità severe, dovute a malattie croniche, e che necessiterebbero di cure domiciliari continuative.
Lo rilevano i dati del Ministero della Salute e una survey effettuata da Italia Longeva, network scientifico dello stesso Ministero, dedicato all’invecchiamento attivo e in buona salute.
In 12 Aziende Sanitarie presenti in 11 Regioni italiane: un campione distribuito in modo bilanciato tra nord e centro-sud, relativo ad Aziende che offrono servizi territoriali a 10,5 milioni di persone, ossia quasi un quinto della popolazione italiana. Quel che sorprende di più è che il nostro Paese – da anni alla ricerca di una vera alternativa al modello basato sulla centralità dell’ospedale per la cura di pazienti anziani, cronici e fragili – dedichi all’assistenza domiciliare sforzi e risorse pressoché risibili: basti pensare che dedichiamo in media, a ciascun paziente, 20 ore di assistenza domiciliare ogni anno, e che non mancano nazioni europee che garantiscono le stesse ore di assistenza in poco più di un mese.
“I dati Istat mostrano che quasi un italiano su 4 ha più di 65 anni, e che questo rapporto salirà a 1 su 3 nel 2050. Al contempo noi non auspichiamo, né saremmo in grado, di curare tutte queste persone in ospedale, e proprio da questa evidenza nasce il nostro sforzo, per individuare un modello alternativo. Però oggi scopriamo che assistiamo a domicilio meno di 3 anziani su 100. Tutti gli altri? A intasare i pronto soccorso, nella migliore delle ipotesi, oppure rimessi alle cure ‘fai da te’ di familiari e badanti, quando non abbandonati all’oblio di chi non ha le risorse per farsi assistere. A mio avviso questi dati dovrebbero rappresentare per la politica, un “campanello di allarme non più trascurabile”. Ciò che è evidente che abbiamo un organizzazione dell’assistenza domiciliare del tutto disomogenea nelle diverse aree d’Italia. Da questa disomogeneità emergono due tendenze, che possono suggerire altrettante strategie per la domiciliarità che abbiamo il compito e il dovere di attuare tenendo conto anche delle risorse del PNRR e di nuove progettualità che avanzano nel campo della residenzialità come il Cohousing, che abbatte la solitudine, favorisce l’integrazione, aiuta a vivere a lungo e a vivere meglio.
Di questo vogliamo discutere il 14 novembre presentando anche il lavoro di ricerca che abbiamo pubblicato con Carocci editore e che il 14 novembre presentiamo